giovedì 31 marzo 2016

parlare ≠ cantare

camminare : correre = parlare : cantare
Rende l'idea eh? Si intuisce l’aumento di complessità e di impegno energetico nel passare dal parlare al cantare. Per parlare si apre e chiude il passaggio dell'aria, per cantare è tutta un'altra faccenda.
L'organo che ci permette di parlare è piccolo e nascosto, visto dall’alto ha circa le dimensioni di una moneta da 50 centesimi.
Il passaggio dell'aria, il fiato, fa un'enorme differenza. Occorre diventare consapevoli del volume dell'aria, del suo passaggio e della spinta che gli si dà sulle corde vocali. Quando si è sui toni acuti l'aria a volte è troppa. Il fiato è come il carburante per un veicolo. Ma il controllo di quest’ultimo, nell’auto, non avviene sulla pompa della benzina, ma su un elemento più raffinato: il carburatore, il solo che possa garantire il giusto equilibrio fra aria e benzina. Così nel canto conviene trasferire il controllo mentale del flusso aereo sulla laringe (l’elemento carburatore) e non sull’appoggio (la pompa). È l’assetto laringeo che decide di quanta pressione sottoglottica c’è bisogno e non l’appoggio.

Quando la voce cantata rimane nell’ambito della prima ottava, l’equilibrio pneumo-fonatorio viene risolto abbastanza spontaneamente. Dare continuità al flusso del fiato attraverso la glottide non pone grossi problemi su questi suoni: più o meno di gs quello che abbiamo imparato a fare con la gestione della parola - fatto salvo la qualità del suono - e a questo concorre il fatto che l’altezza tonale è quella che usiamo nell’espressione verbale. Pochi sanno che anche nel parlare usiamo dei suoni, anzi, i toni. Nella musica si tratta di "melodia", nel parlato si tratta di "prosodia". Sono pochi e generalmente vicini tra loro, ma sono pur sempre toni. (NB: I toni compongono la scala musicale, diesis compresi).

I problemi insorgono quando, nel cantare, ci avviciniamo a certe soglie - toni alti o bassi - che ci imporrebbero una maggiore destrezza nell’arginare l’improvviso aumento di efficienza della “valvola”.

Succede che, per i suoni del settore più acuto, fuori dalla pratica della quotidianità, si perda facilmente la capacità di equilibrare. In particolare con l’innalzarsi del tono, aumentando la tensione delle corde, si crea un’opposizione muscolare sempre più tenace al passaggio del fiato, con conseguente perdita di flessibilità della mucosa. Se si continua a salire in condizioni di squilibrio, si aggiunge più fiato che crea un'ulteriore tensione sulla rima glottale con il reclutamento della muscolatura limitrofa. Non va bene e non fa bene. Eppure è quello che comunemente si sente anche in cantanti professionisti.
Questo a lungo andare provoca danni semipermanenti.

La questione si fa complessa. Il suono glottale, prima di giungere all’esterno ed essere percepito dagli ascoltatori, passa in una serie di cavità: la faringe, la cavità orale e, nell’articolazione di particolari fonemi, le cavità nasali che tramite il completo o parziale abbassamento del palato molle o velo palatino, possono funzionare in alternativa o insieme alla cavità orale stessa. Fatto questo tragitto il suono fuoriesce e diventa oggetto di percezione.
La risonanza vocale, quella che si aggiunge alla fondamentale per dare qualità vocaliche e timbro al suono, non si forma e si amplifica nei seni paranasali, frontali, sfenoidale e, per le frequenze più basse, nella cavità toracica.

«In particolari condizioni di emissione (vedi equilibrio pneumo-fonatorio, registrazione), la frequenza fondamentale prodotta nella laringe (F0), possiede già un gran numero di armonici la cui ampiezza decresce con l’aumentare della loro frequenza. Il tubo aggiunto o tratto vocale, d’altra parte, ha la possibilità di amplificare o smorzare certi armonici, e, in funzione della geometria del suo assetto (condizione variata dai movimenti degli organi articolatori e della laringe stessa), lo fa delimitando, sulla linea di inviluppo di F0, quattro o cinque picchi di frequenza chiamate formanti, che per il tratto vocale di un maschio adulto di normali dimensioni, si aggirano rispettivamente intorno a 500, 1500, 2500 e 3500 Hz. Diminuendo o aumentando la lunghezza del tratto vocale si hanno, rispettivamente, picchi a frequenze più alte o più basse. Le prime due formanti, variamente composte a frequenze diverse nell’articolazione, danno luogo alle vocali, le altre hanno una funzione più timbrica».
angelica1212.oneminutesite.it

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